lunedì 19 gennaio 2009

Capitolo 4: Il filo argentato

Quando Yukari aprì gli occhi, dai vetri impolverati della finestra filtrava un pallido raggio di sole.
Con una mano si stropicciò gli occhi, nel tentativo di rendere la vista più nitida, e si rese conto di essere distesa sotto una spessa coltre di coperte. A giudicare dagli schiamazzi provenienti dai piani di sotto doveva essere all'incirca mezzogiorno. Ma adesso la sua maggiore preoccupazione era capire com'era arrivata lì e come si era conclusa la sua precedente serata.
Tentò di mettersi in piedi ma un improvviso crollo di pressione la costrinse ad inginocchiarsi e ad appoggiare le mani sul pavimento per sorreggersi. Sentì una vampata di calore provenire da sotto i vestiti e un pungente odore di sudore le penetrò nelle narici. Doveva aver sudato molto durante la notte. Appoggiò le mani sull'osso occipitale per massaggiare al fine di attenuare il lancinante mal di testa, quando la porta della sua camera si aprì, con il tradizionale cigolìo.
"Ho sentito un tonfo e così sono venuta su a vedere se avevi combinato qualcosa" La voce di Akemi, che si erigeva sulla porta a braccia conserte, risuonava fredda e distante come sempre.
"Come sono finita qui? Non mi ricordo di essere andata a dormire..."
"Eri accovacciata nel giardino, per terra. Eri senza sensi, caduta nel tuo stesso vomito"
"Uh..."
"La devi smettere, Yukari. La devi smettere. E' difficile per tutti" Akemi sbattè la porta violentemente, lasciando

Yukari accovacciata sul pavimento, il silenzio.
Rimase senza dire una parola a fissare un punto indeterminato della stanza, con sguardo totalmente inespressivo.
Afferrò una scarpa e la lanciò con tutta la rabbia che possedeva in corpo contro la porta.
"Fanculooooooo!!!" Gridò, prolungando la parte terminante della parola per una decina di secondi. L'urlo rieccheggiò tra le grigie pareti spoglie della sua stanza. Sul suo collo si erano ingrossate delle vene, mentre il viso aveva assunto una colorazione paonazza. Respirò affannosamente e tese l'orecchio, aspettandosi i passi svelti e rabbiosi di Akemi sulle scale, intenzionata a tornare indietro e a picchiarla. Non ci furono rumori, ma comunque le sembrava impossibile che non l'avessero sentita.
Si distese sul pavimento a pancia all'aria e fissò il soffitto, dal quale pendeva una magra lampadina incorniciata da crepe. Chiuse gli occhi e cercò di concentrarsi per rallentare i battiti cardiaci.
Sentì salire qualcuno sulle scale e si rizzò a sedere. Ecco, stavano arrivando a punirla. Se lo immaginava, era ovvio... Non era nel carattere nè di Akemi nè di sua madre lasciar perdere un "vaffanculo" urlato. La porta si aprì e comparve sulla soglia una donna sulla cinquantina, con i capelli arruffati e raccolti in una smunta coda di cavallo. Il suo viso, oramai increspato da molte rughe, aveva un'aria stanca e la pelle scura, tipica dei giapponesi discendenti dagli Ainu degli Hokkaido, era tappezzata da piccole macchie.
"C'è qualcuno che ti cerca all'ingresso" Disse, con voce che pareva il cigolìo di una vecchia carrucola.
"Chi è?"
"Non lo so. Scendi, per favore"
Yukari seguì sua madre e giunse all'ingresso. Aprì la porta e i suoi occhi strabuzzarono in un'espressione di totale stupore.
"Masakazu?!" Squittì, con voce rotta dalla sorpresa.
"Uh, si... Ehm... Disturbo?" Disse lui, grattandosi la nuca e sorridendo nervosamente, tipico segno di imbarazzo in lui.
"Mmh.. No...Ma che ci fai qui? Come fai a sapere dove abito? Ma che, vuoi mica entrare?"
"Ma no, ma no! E' che...oggi sei mancata da scuola..."
"Si...Non mi sono svegliata, stamattina"
"Ho chiesto alla professoressa il tuo indirizzo di casa, e... Sono venuto per portarti un pensierino...E' una cazzata, eh!"
Il ragazzo porse un pacchettino di cartone a Yukari, infiocchettato con un nastro di stoffa scozzese. Si inchinò, augurandosi che lei avrebbe gradito il dono. Yukari lo prese in mano e, fissando prima il pacco e poi il ragazzo, si inchinò.
"Grazie... Non dovevi..."
"Eh, ma ti pare? Per così poco... Pensavamo stessi male e così ti abbiamo scritto sopra di guarire presto..."
Yukari stesse in silenzio, fissando il pacco.
"Beh, allora io vado eh? Fatti vedere a scuola domani, Kurugawa-san! Sennò mi tocca portarti pacchetti tutti i giorni!"
Il ragazzo si incamminò verso il vialetto e si voltò per salutare la compagna di stanza con un sorriso.
Era adorabile. Il suo sorriso e il suo modo di porsi, così insicuro e tenero, le suscitò una sensazione di simpatia. Sorrise, salutandolo a sua volta con la mano e seguendolo con lo sguardo fino a quando lui scomparve nell'isolato successivo.
Rientrò in casa e sua madre e la sorella minore si avvicinarono con sguardo incuriosito.
"Che cosa ti ha portato quel ragazzo? Sarà mica il tuo fidanzato?" Gracchiò la madre con sguardo indagatorio.
"Guarda che non sono Akemi. Non mi fidanzo dopo un giorno, io!"
"Tu non ti fidanzi proprio!" Urlò Akemi dal bagno, intenda ad asciugarsi i capelli con un phon.
"Mavvaccagare!"
"Mamma, Yukari ha detto va a cagare" esclamò Sumire con sguardo scandalizzato.
"Yukari non dire parolacce davanti a tua sorella" la ammonì sua madre, sedendosi su una sedia ed afferrando il telecomando.
"Mmmmh, che palle..."
"Mamma!"
"YUKARI!!!" Urlò sua madre, battendo un pugno sul tavolo e voltandosi a guardarla con sguardo furente.
Yukari ignorò l'ammonimento e, senza dire una parola, salì le scale per dirigersi in camera

Si sedette sul letto con la gola secca per l'emozione. Toccò il fiocco sulla superficie della scatola e qualcosa le rimase impigliato tra le dita. Infastidita, sforbiciò le dita nel tentativo di liberarsi e un sottile filo le cadde sui pantaloni. Lo prese in mano e, dopo averlo portato alla luce, esso scintillò come neve fresca al sole.
"Nadeshiko..." Pensò, mentre il suo cuore venne scosso da una capriola.
In fretta e furia scartò il pacco, buttando per terra il nastro ed il coperchio di cartone che per il forte colpo sul pavimento rotolò per metà stanza. Il suo cuore batteva all'impazzata e dovette passarsi la lingua sulle labbra per detergere la secchezza.
All'interno delle mura di cartone vi era una piccolissima bambola di pezza. La pelle era cucita con una stoffa bianca e i vestitini, raffiguranti una divisa femminile scolastica, erano di velluto verde. La prese in mano con sguardo estremamente incuriosito e, toccandole i capelli, si accorse che avevano una morbidezza senza precedenti ed una colorazione che le ricordava i ghiacciai invernali. Riaccarezzandoli più volte si accertò che non erano capelli sintetici ma umani e che se venivano esposti alla luce del sole brillavano... come neve fresca al sole.
Li annusò, e nella sua mente prese nitidamente forma il grande albero di ciliegio nel giardino della scuola.
Si portò la bambola al petto ed incominciò a piangere. Dondolandosi avanti ed indietro ripetutamente, il suo viso era oramai rigato da fiumi di lacrime, mentre dal naso il liquido aveva oramai raggiunto il mento. Pianse ad alta voce, scossa da colpi di tosse e singhiozzi, premendo contro il cuore quella bambolina dagli occhi di bottone, quasi come se volesse fonderne la stoffa con la sua carne. Gli occhi completamente annacquati erano iniettati di sangue e rossi, mentre il rumore del muco che veniva risucchiato dal naso sovrestava oramai quello del pianto.

Nadeshiko si era tagliata una ciocca di capelli per creare una bambola il cui scopo era quello di chiedere di tornare. Sulla maglietta della bambola vi era cucita una scritta, in caratteri molto piccoli:
< Guarisci presto! Kinoshita e Tsukiyama >

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